SULLA VITA NAZIONALE DEI CATTOLICI di Mario Adinolfi
Il 24 dicembre 1905 a Caltagirone, città natia e di cui era prosindaco, don Luigi Sturzo pronunciò un discorso intitolato “I problemi della vita nazionale dei cattolici” conosciuto più familiarmente dagli storici del popolarismo come il “discorso di Caltagirone”. Lo pubblichiamo integralmente su La Croce insieme all’ultima puntata del Codice di Camaldoli per ricordare a noi stessi, durante la pausa agostana, che dobbiamo fortemente studiare e riflettere se vogliamo uscire da queste fase di evidente crisi della rappresentanza dei cattolici nella politica italiana.
Non che nel 1905 la situazione fosse rosea, anzi. Proprio le difficoltà di quel tempo aiutano a vivere e comprendere meglio le difficoltà del presente, con Repubblica che annuncia la nascita dell’ennesimo movimentino con il sostegno di Andrea Riccardi in orbita Pd (che dopo essere stato montiano e renziano ora ci diventa anche “zingarettiano”, ma speriamo davvero per il rispetto che dobbiamo alla Comunità di Sant’Egidio che Repubblica abbia preso un abbaglio), la campagna acquisti della Lega che sta attraversando tutti i partiti e sventrando Giorgia Meloni nel suo unico territorio di vera forza (Roma), la oggettiva irrilevanza dei cattolici sui temi cruciali al di là degli slogan di chi sta al governo, che slogan rimangono e intanto arriva il via libera alla triptorelina, le registrazioni dei figli di due papà, addirittura da parte del ministro della Famiglia l’idea letale dei patti prematrimoniali che uccideranno definitivamente l’istituto del matrimonio (bisogna vivere anche solo qualche settimana negli Usa per capire come i “prenup” abbiano trasformato le nozze in meri contratti a termine, con tanto di liquidazione e buonuscita a cinque anni, dieci anni ecc.).
Insomma, Sturzo doveva sfidare una condizione di irrilevanza dei cattolici in politica che era obbligata per via del non expedit papale, noi ci ritroviamo nella stessa condizione per incapacità di gestione anche solo organizzativa della presenza in politica dei cattolici, scissi tra gli animatori del soggetto autonomo (i pidieffini) e gli attratti dalle varie versioni dei ruoli di “contaminatori” (nel Pd o suoi satelliti, nel M5S, nella Lega). Restano i dati che certificano un’area di sette milioni di cattolici praticanti politicamente così distribuiti: più della metà il 4 marzo hanno votato Pd e M5S, gli altri tre milioni hanno votato nell’ordine per Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Noi con l’Italia e Popolo della Famiglia. Il PdF, unico soggetto cristianamente ispirato dichiaratamente presentatosi come erede del popolarismo e fondato programmaticamente sulla dottrina sociale della Chiesa, ha ottenuto il 3.5% dei voti dei cattolici praticanti, confondendo questo dato con il dato politico generale: pensavamo di poter prendere il 3% del voto degli italiani, era il 3% (abbondante) del solo voto dei cattolici praticanti. Non abbiamo però considerato questo come un fallimento, ma abbiamo voluto pensare ai 220mila che ci hanno votato come a militanti che ci indicavano un buon punto di partenza.
Ora il problema è, evidentemente, come crescere o come arrendersi all’idea che sia svanita l’intuizione sturziana di un partito cristianamente ispirato ma laico, politicamente autonomo, posto come antitesi allora al socialismo e al fascismo, oggi all’avalorialità generalizzata di tutti i movimenti politici di sinistra come di destra. Noi proveremo a crescere non tacendo le difficoltà, questo è il lavoro che ci attende da Camaldoli in poi, dove saremo confortati anche dalle parole di più di un vescovo. Sì, anche in Conferenza episcopale italiana si affaccia la consapevolezza della necessità di non guardare con ostilità a un soggetto politico autonomo come il Popolo della Famiglia, specie dopo le parole ripetutamente spese dal cardinale Gualtiero Bassetti proprio a sostegno dell’intuizione sturziana. Poi, cardinali e vescovi a cui il PdF non piace li troveremo sempre. Pensate che Sturzo pronuncia il discorso di Caltagirone del 1905 subito dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi deciso dal Papa nel 1904. Perché viene sciolta? Perché in quella organizzazione delle organizzazioni cattoliche stavano prevalendo i giovani della “democrazia cristiana” che, guidati da un altro sacerdote coraggioso come don Romolo Murri, proponevano il superamento del non expedit e la partecipazione dei cattolici alle elezioni. Murri si organizzò e passò dalle parole ai fatti, riuscendo a farsi eleggere deputato. Tanto bastò per essere immediatamente scomunicato e la scomunica fu cancellata dal Papa solo nel 1943, un anno prima della morte del povero don Romolo.
Sturzo fu più paziente e lavorò per tredici anni alla nascita del Partito popolare italiano, che dal discorso di Caltagirone che ne fu l’intuizione per la prima volta organicamente espressa, divenne azione con l’appello ai liberi e forti del 18 gennaio 1919. Oggi come un secolo fa il problema, davanti alla manifesta irrilevanza dei cattolici in politica, è l’organizzazione di un soggetto politico autonomo capace di raccogliere consenso. Oggi la sfida è ancora decisiva perché sono in gioco i principi essenziali della vita e della famiglia, che un secolo fa era inimmaginabile mettere in discussione. Oggi abbiamo Natalia Aspesi su Repubblica che scrive che per un bambino vanno bene pure sette papà, che in fondo Biancaneve è stata cresciuta così e in famiglia le volevano male (senza ricordare che i guai per Biancaneve nascono perché l’unica vera madre muore). Attenti, la logica della Aspesi pare paradossale ma è rigorosa: se salta il principio del diritto del bambino ad avere una sua mamma e un suo papà, allora in nome del “love is love” è incomprensibile restringere la “genitorialità” al concetto di coppia: “famiglia è dove c’è l’amore”, giusto? E allora possono esserci tre mamme e quattro papà o davvero i sette papà di Biancaneve, magari transitori, tra il morso a una mela avvelenata e il passaggio casuale di un tizio su un cavallo bianco. Poi i sette papà spariscono dalla storia, magari a Brontolo sparano pure in vena un po’ di pentobarbital tanto è svizzero ed era tanto depresso dopo che Biancaneve se n’era andata, gli altri sei si sono impegnati ad avere figli tra di loro, niente e addio umanità. Triste favola, quella che vorrebbero farci riscrivere nel ventunesimo secolo, in cui Biancaneve e il principe peraltro mica si sposarono “e vissero per sempre felici e contenti”, fecero un patto prematrimoniale benedetto dal ministro Fontana in cui se Biancaneve resisteva sposata cinque anni beccava metà del castello, a meno che non ci fossero figli, allora la storia cambiava e per il mezzo castello doveva aspettare almeno quindici anni, dunque Biancaneve ogni volta che rimaneva incinta abortiva, lamentandosi allo specchio perché nel reame c’erano troppi medici obiettori di coscienza.
Le questioni sono troppo decisive, persino più determinanti rispetto a un secolo fa, per risolvere il problema nazionale dei cattolici italiani serve oggi più di allora un soggetto politico nazionale che raggruppi il consenso più ampio possibile dei cattolici italiani e non solo, di tutte le persone di buona volontà che vogliono porre al centro dell’azione politico l’investimento nella cultura della vita e della famiglia naturale, per far ripartire nella gioia la lugubre Italia che, come clima, ci riporta davvero al tempo plumbeo in cui Sturzo fondò il Ppi. Per il Popolo della Famiglia, questa la sfida. Raccoglierla è insieme raccogliere un testimone. Proseguire la corsa nelle direzione intensamente umana proprio della storia di un’Italia che ha nel cattolicesimo politico la sua biografia migliore.