Solo se saremo uniti saremo forti Mirko de Carli – 29 Gennaio 2021
Citare De Gasperi è sempre un modo autorevole per accreditare un pensiero in tempi difficili come questi: l’appello lanciato dallo statista trentino durante il Congresso di Napoli della Democrazia Cristiana del 1953 risulta di estrema attualità e cercherò di spiegarvi perché. Ai tempi del cosiddetto “partito unico dei cattolici” la presenza dei cristiani, nella vita pubblica del paese, era riconoscibile e riconosciuta grazie ad una straordinaria capacità organizzativa, animata da una precisa guida ecclesiale, che si traduceva in consensi elettorali tangibili e maggioritari. Eppure, al termine degli anni di governo della cosiddetta “stagione degasperiana”, il leader cattolico ebbe premura di invitare i vari capicorrente della Dc a non dissipare il patrimonio costruito nel dopoguerra a causa di faide interne personalistiche e animate da semplici necessità di equilibri di potere. Aveva ben chiaro De Gasperi che perdere la straordinaria capacità di sintesi, caratterizzata dalla sua leadership, avrebbe voluto dire dividersi e rendere di conseguenza maggioritaria nel paese l’alternativa comunista.
Quell accorato appello “solo se saremo uniti saremo forti” garantì altri decenni di governabilità al paese e il manifestarsi di quella straordinaria stagione di crescita e sviluppo che tutti ricordiamo sotto l’appellativo di “miracolo economico italiano”. In quegli anni era possibile rintracciare un’autentica capacità di leadership dentro una sapiente intelligenza di comporre i conflitti anziché alimentarli: comporre il campo di coloro che erano alternativi al comunismo faceva così emergere la caratura di una classe dirigente che ambiva a governare il paese.
Paragonare quella stagione ad oggi è così irragionevole? Se ci pensiamo bene no. Se andiamo ad analizzare nel dettaglio i flussi elettorali delle principali liste presenti in Parlamento possiamo osservare che, per quanto concerne i principali gruppi parlamentari presenti oggi tra Montecitorio e Palazzo Madama, il voto dei cattolici risulta essere una (se non la prima) componente di consenso presente: questo vuol dire che il voto di chi frequenta il variegato “mondo cristiano” è rimasto, seppur in modo diverso, ancora estremamente incidente nella vita pubblica. Questa presenza ha cambiato forme, linguaggi, modalità organizzative ma non ha perso la propria forza impattante nel tessuto della nostra comunità: se guardassimo alle situazioni di emergenza che hanno travolto l’Italia durante gli ultimi trent’anni potremmo registrare un’incidenza decisiva del protagonismo cristiano (opere di carità, volontariato, educazione… solo per citare alcuni campi d’azione). In politica questo non è più percepibile perché i parlamentari (e questo vale per tutti gli eletti ad ogni competizione elettorale, nazionale o locale che sia) rispondono a “frazioni” del mondo cristiano e cattolico e non più alla globalità di esso, come avveniva durante la Prima Repubblica. Ci sono quindi i cristiani, i cattolici del sociale, quelli dei temi etici, quelli europeisti, quelli terzomondisti e via discorrendo: ogni gruppo pensa di poter crescere nel proprio consenso solo se accrescerà il suo valore identitario marcando le differenze con il gruppo (anch’esso con la stessa matrice valoriale cristiana) alternativo.
Un esempio per chiarire: per i cristiani oggi è più facile stare in un partito con chi pensa che l’aborto sia un diritto o l’aiuto agli indigenti un atto da condannare anziché abitare la stessa comunità politica con chi ha un medesimo pensiero su questioni così decisive per il destino di un popolo. I principali partiti agitano slogan divisivi con lo scopo di tenere diviso il popolo cristiano e renderlo così ininfluente: vedere la nostra comunità dividersi, con violenza verbale inaccettabile e con l’uso della semantica religiosa e fideistica per suffragare le proprie argomentazioni, è una delle ferite che più mi affligge. Perché? Perché commettiamo l’errore che De Gasperi evidenziò con il suo accorato appello: “solo se saremo uniti saremo forti”.
Serve dunque ritrovare un “campo” dove misurarsi tema su tema, senza prendere a pretesto la politica internazionale o nazionale per creare frizione, e definire un programma di proposte e non di enunciati valoriali astratti su cui misurare la nostra capacità di unirci come cristiani impegnati nella vita pubblica e di valutare questa “agenda per il paese” con il consenso elettorale: per questo ebbi dire, nei giorni scorsi, che serve avviare la strada per la nascita in Italia di una Unione democratica cristiana (nel solco dell’esperienza tedesca). Per fare questo occorre deporre le armi dello scontro verbale tra simili su temi in cui non abbiamo i numeri per incidere e, all’interno di luoghi di discussione animati dal dialogo pacato e riflessivo (come ad esempio la sempre più autorevole piattaforma di Feedback & Dialoghi), avviare la decisione di un piano di azioni concrete su cui unire il nostro sforzo di cristiani nella società civile. La rinascita e ricrescita successiva alla pandemia è l’occasione perfetta per questo percorso e per garantire un’alternativa alla sinistra che odori di democrazia e non di demagogia e che abbia radici ben ancorate all’umanesimo cristiano: solo con questa componente cristiana e democratica robusta e ben organizzativa si potrà competere con la coalizione delle sinistre, altrimenti maggioritaria se il timone dell’opposizione continuasse ad essere affidato alle destre sovranistre.
È una sfida per cui letteralmente dare la propria vita e che rappresenterebbe la consecutio logica di quella straordinaria storia che sia chiama Popolo della Famiglia che rappresenta e rappresenterà sempre e comunque la mia casa politica. A Dio piacendo mi troverete a con-vincere nel solco di questa ennesima lucida e visionaria follia.