LA SCELTA DI MIGUEL di Mario Adinolfi
I giornali raccontano del “divorzio” tra Miguel Bosè e il suo compagno e della decisione di “spartirsi” (incredibile, viene usato proprio questo verbo in molte titolazioni) i figli, due coppie di gemelli acquistati tramite la procedura dell’utero in affitto. Tra i due gay litiganti verrà piazzato un oceano di mezzo e dunque la separazione è di quelle pesanti e traumatiche. Già è terribile per un bimbo se papà lascia alla mamma la casa di Prati e va a vivere all’Eur, figurarsi frantumare anche i rapporti fraterni e piazzarsi a continenti di distanza. Disumano, al limite dell’incomprensibile. Molti ricordano La Scelta di Sophie, lo straziante film in cui una perfettamente tragica Meryl Streep deve decidere quale dei due figli non vedere più, costretta a farlo da eventi più grandi di lei. Per i più confidenti con le Sacre Scritture tornerà alla mente l’episodio di re Salomone e delle due donne che reclamano lo stesso figlio e il re le mette alla prova trovando un saggio modo per “spartirlo”: a fil di spada. Una metà a una donna, una metà all’altra. Lì esce fuori la vera madre, che dice di consegnarlo all’altra ma di non ucciderlo. Sono episodi che raccontano come sia davvero incomprensibile, umanamente impensabile, l’idea per un genitore di doversi privare del rapporto con i propri figli. E raccontano anche come dall’utero in affitto non possa derivare vera genitorialità, i figli acquistati con una transazione di tipo commerciale dopo aver pagato la donna che li partorisce sono ipso facto ridotti a cose. Le cose, sì, si possono spartire. Il tv al plasma a te, l’aspirapolvere senza fili a me. I figli no. Sophie muore suicida, il dolore è troppo grande. E la vera madre dell’episodio di Salomone rinuncia al figlio pur di non vederlo “spartito”. Ma sono vere madri, appunto.