I brigatisti di via Fani, liberi da anni di Mario Adinolfi

Dei responsabili della strage di via Fani, quattordici brigatisti rossi che il 16 marzo 1978 uccisero sparando novantuno colpi (quarantacinque a bersaglio) i cinque uomini della scorta di Aldo Moro, nessuno è in carcere. Barbara Balzerani scriveva nel 2018 garrula sui social: “Chi mi ospita oltreconfine per i fasti del quarantennale?”. Scriveva proprio così, testuale. Ha 71 anni, non si è mai pentita né dissociata ed è libera da quasi quindici anni. Era la compagna del capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, colui che prendeva ordini dai servizi segreti di mezzo mondo presso la finta scuola di lingue Hyperion di Parigi: Moretti è l’ideatore della strage e il principale responsabile dell’uccisione di Moro. Arrestato nel 1981, è in semilibertà dal 1997, ha avuto una figlia e un posto di lavoro.
Adriana Faranda era anche lei in via Fani, celebrò il quarantennale dando un’intervista televisiva, fa la fotografa, è stata condannata all’ergastolo nel 1983 e liberata nel 1994. Alessio Casimirri riesce a non farsi neanche un giorno di carcere mai in tutta la sua vita, fugge all’estero e tutti sanno dove si trova, in Nicaragua: ha aperto lì il ristorante Magica Roma. L’Italia ha chiesto invano la sua estradizione. Alvaro Lojacono, anche lui come tutti condannato all’ergastolo, riesce a prendere la cittadinanza svizzera, per via Fani non ha fatto un giorno di carcere, ne ha fatti 11 in Svizzera per l’omicidio del giudice Girolamo Tartaglione. Rita Algranati, la moglie di Casimirri, è riuscita a restare latitante per oltre un quarto di secolo, è stata presa al Cairo nel 2004 e sta scontando il suo ergastolo. Germano Maccari è stato preso nel 1993 ed è morto in carcere nel 2001. Bruno Seghetti è stato condannato all’ergastolo nel 1983 e ha ottenuto la semilibertà nel 1995.
Fin qui i presenti in via Fani che non hanno materialmente sparato ma hanno svolto varie decisive funzioni nella strage. Gli assassini materiali dei cinque agenti di scorta di Aldo Moro (Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci) vanno rintracciati nel gruppo di fuoco delle Brigate Rosse composto da quattro persone. Raffaele Fiore, mai pentito e mai dissociato, condannato all’ergastolo nel 1983 è in semilibertà dal 1997, nonostante sia stato riconosciuto come omicida seriale oltre che in via Fani anche del giornalista Casalegno e dell’avvocato Croce. Valerio Morucci, compagno di Adriana Faranda, condannato all’ergastolo nel 1983, si dissocia nel 1985 ed è libero dal 1994. Prospero Gallinari è morto nel 2013 (e ai suoi funerali si sono ritrovati molti componenti del gruppo stragista di via Fani qui elencati e hanno cantato tutti in coro l’Internazionale). Infine Franco Bonisoli, che sparò più di tutti in via Fani compresi una serie di colpi di grazia alla testa dei feriti e che eliminò il più “pericoloso” avversario dei brigatisti, il caposcorta di Moro maresciallo Oreste Leonardi, è stato condannato all’ergastolo nel 1983, è libero dal 2001 ed ha collaborato anche con la diocesi di Milano. Tra l’altro, è il terrorista che ha gambizzato Indro Montanelli.
Insomma, come avete capito i brigatisti rossi di via Fani li incontriamo tutti per le strade delle nostre città. Danno interviste, scrivono libri, davvero come scrive la disgraziata Balzerani potrebbero organizzare questo famoso “happening” per ogni anniversario della strage di via Fani, hanno per amici giornalisti e scrittori che contano, si portano bene in società, potrebbero chiamare al party anche gli altri stragisti, quelli condannati per la strage di Bologna, certo sono “neri” ma Francesca Mambro e Giusva Fioravanti ormai lavorano con i radicali di Nessuno Tocchi Caino, quindi sono sdoganati. Sono amici di Adriano Sofri e di tutta la banda lottacontinuista degli omicidi di Luigi Calabresi ed è tutto uno splendido démi-monde di assassini, mandanti materiali e morali, complici di assassini che se ci pensate bene ancora governa dai piani alti la società italiana.
Lo spiegavano bene i parenti delle vittime di via Fani già dopo un’altra giornata per loro dolorosissima, quella del trentennale, dove anche allora a fare da protagonista fu una proiezione tutta dedicata a dar lustro ai terroristi senza neanche ricordare i nomi dei morti. Scrissero allora i parenti: “Tale proiezione ci ha riportato indietro di trent’anni, a quel terribile giorno in cui le nostre vite si fermarono insieme a quelle dei nostri cari, ci ha inorridito vedere un terrorista accanto alla lapide che ricorda l’eccidio, ci ha disgustato sentirlo parlare di Brigate Rosse proprio in quel luogo di ‘memoria storica’ per la Nazione tutta. Silenziosamente sino ad oggi, in quanto educati dai nostri caduti nel rispetto delle Istituzioni e nel credo cristiano, abbiamo taciuto sui vari accadimenti degli ultimi tempi. Abbiamo silenziosamente osservato Sergio D’Elia, ex terrorista di Prima linea, essere eletto segretario di presidenza della Camera dei deputati, abbiamo fissato l’ex terrorista Susanna Ronconi essere nominata alla Consulta nazionale delle tossicodipenze, abbiamo assistito l’ex brigatista Barbara Balzerani, nè dissociata nè pentita, ottenere la libertà condizionata nonostante il parere negativo espresso da noi familiari al Magistrato di Sorveglianza (parere che data la nostra discrezionalità non è mai stato dato in pasto alla stampa), ed ora, infine, siamo costretti ad assistere all’esaltazione mediatica dell’ex BR Franceschini proprio sul luogo in cui vennero uccisi gli uomini della scorta di Moro (come purtroppo vengono ormai ricordati i cinque agenti, precipitati nel limbo della dimenticanza comune). Abbiamo avuto sempre la massima discrezione, nel rispetto dei valori e delle Istituzioni, assistendo in cristiano silenzio al ritorno, in primo piano, degli ex terroristi. Li abbiamo guardati presentare libri, tenere convegni, salire in cattedra, entrare a far parte delle Istituzioni stesse, assistere, infine, all’ennesima loro ‘escalation mediatica’ in puro stile al-qaediano sul proprio ricordo di quegli anni, come se quella stagione avesse avuto per protagonisti, agli occhi dei telespettatori, i soli componenti della lotta armata.
Con sdegno, rammarico e commozione i familiari della Strage di via Fani”.
Cara Barbara Balzerani, cari brigatisti rossi e neri, sparite. Non fatevi più vedere. Rifiutate le interviste. Non dite niente. Avete già fatto troppo. Ora, zitti.
Ora, almeno, zitti. Fate finta che vi dispiaccia e lasciate celebrare agli italiani ogni 16 marzo come data dell’inizio della vostra fine. Perché sul sangue dei lavoratori martiri delle forze dell’ordine massacrati a via Fani questo avete costruito: la vostra fine storica, politica, militare e umana.
Per la vigliaccheria che avete dimostrato contro gli uomini della scorta di Aldo Moro, colpiti a freddo in quattordici contro cinque, avrete sempre e solo pubblica esecrazione e tutto il mio privato disprezzo.