GLI ULTIMI GIORNI di Mario Adinolfi
Come spiega bene il Corriere della Sera in prima pagina con Francesco Verderami i prossimi cento giorni del governo gialloverde potrebbero “essere gli ultimi”. Chi legge La Croce sa che lo scriviamo da tempo, le contraddizioni interne all’esecutivo Conte e lo scenario politico complessivo rendono inevitabile il ricorso a elezioni anticipate in autunno. Il Corriere della Sera le colloca addirittura a settembre, secondo me i tempi saranno più lunghi per via di certe inevitabili ritualità proprie del sistema italiano. Credo che si voterà a novembre, ma la sostanza non cambia: la prossima legge di bilancio sarà certamente scritta da un governo tutto diverso dall’attuale. Chi ha puntato, anche tra i cattolici, sulla solidità del “governo di tregua” sottolineandone gli aspetti positivi, sappia che ancora una volta lo scenario è destinato rapidamente a cambiare.
Le ragioni della fragilità del governo vengono indicate dal Corriere della Sera nei dati economici: la recessione tecnica in cui versa il Paese sarà confermata dai dati del primo trimestre 2019, l’impatto di provvedimento come il reddito di cittadinanza e quota 100 sarà sostanzialmente inesistente, quando arriveranno anche i dati del secondo trimestre a metà luglio, salterà tutto. Il premier Giuseppe Conte, quello del “sarà un anno bellissimo”, ha già praticamente annunciato che i primi due trimestri dell’anno non saranno bellissimi per niente e affida le sue speranze al secondo semestre 2019. Personalmente non credo comunque che saranno solo i dati economici a determinare la fine dell’esperienza gialloverde e il ricorso a elezioni politiche anticipate.
Le elezioni europee del 26 maggio prossimo determineranno con ogni probabilità una forte crescita della Lega e una limatura sostanziale del consenso verso il M5S. Io non sono tra coloro che credono che i grillini crolleranno, non immagino scenari tipo le amministrative dove ormai in ogni regione il M5S vede i voti più che dimezzarsi rispetto alle politiche. Ha ragione Di Maio quando dice che i pentastellati tradizionalmente vanno male alle amministrative, per ragioni legate alla natura della contesa e alle leggi elettorali, che puntano molto a livello locale sul voto di preferenza, per il quale i grillini non sono strutturati. Di Maio sa anche, lo ha accennato esplicitamente in una intervista televisiva, che il 26 maggio si voterà in quattromila comuni e una regione (il Piemonte) per le amministrative. Il 4 marzo 2018 alle politiche il M5S poté beneficiare di un turno elettorale “puro”, completamente sganciato da logiche di voto locali. Tutti questi fattori fanno pensare che il 26 maggio il M5S non andrà bene. Alle precedenti elezioni europee, quelle del maggio 2014, Beppe Grillo fece tutta la campagna puntando al sorpasso rispetto al Pd di Matteo Renzi: finì con il Partito democratico al 41% e il M5S al 21%. Anche nel 2014 si votavano in contemporanea europee e amministrative, comprese le regionali del Piemonte, vinte dal Pd con Chiamparino.
Il 26 maggio del 2019 il ruolo che venne svolto dal Pd e da Matteo Renzi sarà svolto dalla Lega e da Matteo Salvini. Io non credo che l’attuale vicepremier riuscirà a superare il record di voti ottenuto da Renzi, così come non credo che il M5S si ritroverà al 21%. Ma la tendenza mi pare la stessa. Una Lega fortemente oltre il 35% e un M5S relegato attorno al 25% segnerebbero la fine dell’alleanza di governo. Perché? Semplice. Perché Salvini non ripeterà l’errore tattico di Renzi. L’allora premier e leader del Pd si fece prendere dal delirio di onnipotenza: volle cambiare la Costituzione, cancellare il Senato, ridurre le istituzioni parlamentari ad una sorta di consiglio comunale di Firenze con lui sindaco, in più ebbe la geniale idea di mettere questa colossale riforma in mano alla fedelissima più inadeguata, Maria Elena Boschi. Il risultato fu il disastro, in diciotto mesi Renzi passò dal trionfo delle europee alla disfatta del referendum del 4 dicembre 2016. Il conseguente mancato mantenimento dell’impegno ad abbandonare la politica, solennemente proclamato da Renzi in compagnia della stessa Boschi, completò l’opera demolitoria di un’esperienza personalistica di governo. Jobs act, buona scuola e legge Cirinnà (con cui Renzi tradì insieme la sua base cattolica e quella più identitaria di sinistra, i due riferimenti popolari del suo iniziale consenso) condussero infine Renzi al disastro personale.
Salvini non ripeterà gli errori tattici dell’altro Matteo e incasserà subito politicamente il suo 35% abbondante, che gli farebbe raddoppiare immediatamente la rappresentanza parlamentare. Dovrà cercare un pretesto per rompere e forse non ne avrà neanche bisogno, potrebbero rompere gli altri. Sui dati economici, sulla Tav, sulla folle nazionalizzazione di Alitalia non mancheranno le occasioni di grave dissidio. L’ala pentastellata che vive con grande disagio l’intesa con Salvini (capitanata, non va mai dimenticato, non tanto da Fico e Dibba quanto dal Fatto Quotidiano di Marco Travaglio) di fronte al forte calo di consensi potrebbe chiedere di voltare pagina e anche Beppe Grillo non sembra soddisfattissimo della marginalizzazione in cui lo ha relegato Di Maio. Fatto sta che gli elementi che rendono prevedibile un divorzio tra gialli e verdi con il conseguente ricorso ad elezioni anticipate sono molteplici.
Fino a qualche mese fa si obiettava sul fatto che Mattarella non avrebbe concesso l’immediato ritorno alle urne, tentando piuttosto la carta di un’intesa tra il M5S e il Pd ormai ripulito dall’intransigenza antrigrillina dei renziani. Il Corriere della Sera, quotidiano sempre molto ben informato sulle intenzioni del Colle, fa sapere che il presidente della Repubblica davanti a questa situazione non potrebbe che accettare volentieri il dato di fatto dell’impossibilità di costruire una nuova maggioranza (visto che Nicola Zingaretti, prossimo segretario Pd, ha già annunciato che chiederebbe le elezioni perché ha l’esigenza immediata di “de-renzizzare” i gruppi parlamentari dem) mandando quindi tutti al voto.
Con quale quadro politico arriverebbe l’Italia al prossimo appuntamento elettorale autunnale? Dipenderà, evidentemente, dai rapporti di forza che si disegneranno il 26 maggio. Credo però che l’avanzata leghista ha delle vittime designate: Forza Italia e Fratelli d’Italia il cui bacino di consensi sarà saccheggiato. Obiettivo primario di Salvini in questo frangente è non dipendere più in alcun modo dai voti di Berlusconi (e dai suoi denari, sempre capaci di essere condizionanti). Sono convinto dunque che il vecchio schema di centrodestra sia morto e sepolto, nonostante venga riproposto alle elezioni regionali più o meno in tutta Italia. Ma una cosa sono le amministrative e un’altra sono le politiche.
Se alle europee il Popolo della Famiglia saprà dimostrarsi soggetto politico autonomo di ispirazione cristiana capace di attrarre il voto di chi guarda al popolarismo sturziano non come a una materia di studio per gli storici, ma come a una fonte persino di modernizzazione per l’asfittico panorama delle idee applicate al conseguimento del bene comune, ottenendo dunque una crescita dei consensi che ne misuri la salute, allora davvero in questo scenario completamente nuovo i cristiani potranno tornare a giocare un ruolo da protagonisti. Ho sempre proclamato in ogni iniziativa pubblica che l’obiettivo del PdF non è la mera testimonianza, ma andare al governo del Paese. Si stanno costruendo condizioni politiche tali per cui davvero la dimensione del Popolo della Famiglia sarà determinante per la costruzione di maggioranze di governo, da qui a pochi mesi. Sappiamo già che entreremo in un governo solo per poter ottenere al primo consiglio dei ministri il decreto legge immediatamente applicabile che introduce in Italia il reddito di maternità. Il livello dei voti che otterrà il Popolo della Famiglia il 26 maggio dirà quanto concreta sia questa prospettiva. Chiunque capisca un minimo di politica capisce che oggi è più concreta che mai.
Prepariamoci a sei-nove mesi che ci toglieranno il fiato. La fatica sarà immensa, ma siamo davanti ad un tornante della storia. Dobbiamo saperlo percorrere fino in fondo, comprenderne anche le sfumature in ogni pendenza, per ottenere lo slancio necessario al compimento della nostra missione.