ATTENTI, CADUTA MASSI di Mario Adinolfi

Eccoci alla settimana decisiva della legislatura, che quasi per un segno del destino arriva dopo venti giorni di “craxeide”, da Hammamet film con Favino a Hammamet ventennale della morte di Bettino. Il riformismo socialista ucciso dai comunisti si vendica apprestandosi a vedere un Bonaccini dover nascondere il simbolo e i leader del Pd per provare a rimanere in vita politicamente nella rossa Emilia Romagna che rossa non lo è più da un po’, con tanto di sorpasso della Lega sul Partito Democratico già certificato dalle elezioni europee del 26 maggio 2019.
A quelle politiche del 4 marzo 2018 poi, c’era un M5S al 27.5 che si è più che dimezzato a quelle per Strasburgo (12.9%) e il 26 gennaio sera si ritroverà dimezzato ancora: la mia previsione per il candidato di Di Maio in Emilia Romagna è poco più del 5%. Sempre meglio di Forza Italia che faticherà ad arrivare al 3%, nonostante abbia schierato come capolista il verboso Vittorio Sgarbi. Capre, capre, capire: avete bisogno dei cartelli per capire? Ne servirebbero tipo quelli stradali: attenti, caduta massi.

Lo scontro tra Borgonzoni e Bonaccini, alla fine, è la questione minore: uno finirà davanti all’altro, probabilmente per poche migliaia di voti, ma insomma una Emilia Romagna contendibile è già un fatto epocale, un Pd che deve rincorrere la Lega non ne parliamo proprio, il partito che ha dominato le elezioni politiche di neanche due anni fa ridotto al 5% è da crisi di panico, quello che ha simbolicamente dominato l’intera seconda Repubblica fotografato al 3% è fine di un’epoca. E da quelle parti siamo, dalle parti della fine di un’epoca.

La rievocazione di Bettino Craxi è servita a capire che quando un’epoca si chiude dopo un po’ di tempo si possono trarre bilanci. La stagione del potere di Craxi è durata come questa, un venticinquennio: nel 1968 Craxi diventava parlamentare socialista, nel 1993 veniva simbolicamente deposto con la pioggia di monetine all’hotel Raphael. La clamorosa intelligenza politica di Craxi fu tattica: seppe leggere i rapporti di forza, frantumando l’intesa possibile tra le due grandi chiese, quella comunista e quella democristiana, lavorando sulle contraddizioni. Quando nel 1976 al congresso del Midas conquista la segreteria del Psi, Craxi intuisce che otterrà spazio di agibilità politica se farà saltare la logica dell’unità nazionale tra Moro e Berlinguer. Nel 1978 il rapimento di Moro gli offre l’occasione perfetta e schierandosi contro la linea della fermezza di Dc e Pci (che era giusta, non si potevano legittimare i terroristi con una trattativa) cinicamente divarica i due popoli, inevitabilmente sensibili anche se in maniera diversa alla sopravvivenza del leader democristiano. L’uccisione di Moro manda in frantumi la politica della solidarietà nazionale e Craxi si issa, con un portentoso e feroce anticomunismo, nell’alleanza di governo con la Democrazia Cristiana, di certo non odiata di meno dal leader socialista.

Leggo che il giudizio su Craxi è tutto sull’interrogativo: ladrone o statista? E vai con la solita divisione in tifoserie. Chi propende per il latrocinio come caratteristica ontologica del papà di Bobo e Stefania vede solo il bandito “che è morto latitante”. Chi invece sceglie la narrazione dello statista tende a giustificare le innegabili malversazioni finanziarie come modalità di pagare l’attività politica, non di arricchimento personale. Peraltro non ho mai capito perché arricchirsi personalmente sarebbe più grave che utilizzare i denari illeciti per la politica. Quei denari venivano utilizzati per alterare i rapporti di forza, internamente ai partiti e poi nel conflitto tra essi: a me appare assai più grave alterare il naturale corso del confronto democratico con denaro illecito piuttosto che rubarselo per farsi la casa al mare, posto che sono entrambi comportamenti deprecabili. Ma comunque è certo che su Craxi il giudizio non può essere solo giudiziario. Craxi fu uno statista perché impose il primo socialista al Quirinale, fu il primo socialista presidente del Consiglio, tagliò tre punti di scala mobile, vinse il conseguente referendum contro i comunisti e la Cgil, ridusse drasticamente l’inflazione, sostenne uno sviluppo industriale da potenza del G7, contribuì a sconfiggere il terrorismo interno, varò il nuovo Concordato con il Vaticano, fece dell’Italia una nazione rispettata sul piano mondiale (non solo con Sigonella). Di contro aumentò a dismisura il debito pubblico e varò un progetto di “grande riforma” costituzionale inadatto all’Italia e forgiato sulla figura del leader, che fece da anticamera alla tragica iperpersonalizzazione della politica, premessa del disastro della seconda Repubblica. Dal 1968, primo anno da deputato per Craxi, al 1993, anno delle monetine al Raphael, la vita degli italiani cambiò certamente in meglio.

Dal 1994 alle elezioni in Emilia Romagna del 26 gennaio 2020 il sistema che sta per chiudersi non può vantare un analogo bilancio. I post-comunisti uccisero Craxi per prenderne il posto, governando molto peggio quando è toccato a loro. Da D’Alema premier dei Ds a Renzi premier del Pd, non c’è nulla da ricordare, neanche un provvedimento se non gli 80 euro che sono un trasferimento di denaro dalla fiscalità generale alle tasche dell’elettorato di riferimento, operazione poi ripetuta dal M5S una volta conquistato il potere con il reddito di cittadinanza. Il leader che ha caratterizzato la seconda Repubblica, il grande amico di Craxi che risponde al nome di Silvio Berlusconi, ha promesso una irrealizzata “rivoluzione liberale” che si è risolta solo in una grandinata di leggi ad personam per curare i propri guai giudiziari innescati anche da comportamenti personali indegni di un presidente del Consiglio. Questo ha causato l’accartocciarsi delle “novità” della seconda Repubblica: il Pd perde ogni elezione fragorosamente da anni e il 26 gennaio consegnerà due regioni di cui detiene i governatori; Forza Italia che non rinuncia a presentarsi con il nome di Berlusconi come unico elemento identitario vede quel nome ormai per niente attrattivo; il sogno palingenetico del M5S si è infranto alla prima curva, proprio nell’Emilia Romagna da cui è partito con il primo V-Day del 2007.

Attenti, caduta massi. Il 26 gennaio 2020 ci risveglieremo in un contesto politico profondamente modificato e la riforma della legge elettorale in senso proporzionale farà da cesura formale. con probabili elezioni politiche anticipate. Il collasso dei tre partiti architrave della seconda Repubblica (Pd, M5S e Forza Italia) sarà simile a quello dei tre partiti architrave della prima (Dc, Pci e Psi). Ricordo agli appassionati di politica che quando il sistema collassa, i partiti spariscono. Zingaretti non a caso ha già annunciato il congresso “per un partito nuovo”, Di Maio ha convocato “gli Stati Generali” del M5S e Forza Italia si contorce in un’agonia che rende evidente che quel simbolo non sarà sulla scheda alle prossime politiche.

Il primo semestre degli Anni Venti vedrà porsi le basi della trasformazione: i sovranisti di Salvini e Meloni saranno la forza trainante, naturalmente contrapposta al frutto della inevitabile aggregazione tra Pd. M5S, sardinismo e contismo. C’è spazio per altro? In Italia, come sempre, sì. E questo altro non credo sarà il miscuglio tra Renzi, Calenda e Bonino, soggetti inevitabilmente riconducibili alla fine all’aggregato post-piddino. C’è lo spazio per coloro la cui identità non è riducibile a quella di queste due nuove grandi chiese: tra sovranisti e post-piddini c’è lo spazio tradizionale dei popolari che spero sappiano farsi innervare dalle capacità tattiche studiate grazie alla rievocazione craxiana. Quando hai una percentuale di consensi decisamente inferiore ai colossi in campo, diventi protagonista evidenziandone le contraddizioni e su quelle costruendo un progetto politico che non rinuncia alla dimensione egemonica, di leadership. Di questo furono capaci Sturzo e De Gasperi nella stagione del popolarismo stretto tra i due fuochi del socialismo bolscevico da una parte e dell’incipiente fascismo dall’altra. Di questo fu capace Martinazzoli quando all’inizio della Seconda Repubblica incastonò un prezioso 10% di voti tra la gioiosa macchina da guerra di Occhetto e il trionfante Berlusconi. Di questo fu capace Craxi nella stagione della decadenza di Dc e Pci. Tra lezioni identitarie e esercitazioni tattiche, risiede la costruzione possibile di un luogo “altro” destinato ad essere luogo chiave per gli equilibri politici del Paese.

Il Popolo della Famiglia, fin da queste elezioni del 26 gennaio in Emilia Romagna, si esercita pur con percentuali probabilmente non irresistibili (e rese più deboli dai cavilli che ci hanno tenuto fuori dal voto a Bologna, Ferrara e Piacenza) a essere luogo di aggregazione di soggetti diversi non a chiacchiere, ma sulle schede elettorali. Solo noi facciamo questo. Si costruirà domenica un primo passo, sotto la caduta massi. Il percorso è tracciato, l’ambizione è alta, i principi da non far morire sono decisivi e meritano la nostra azione politica.