Questo governo dura un anno Mario Adinolfi – 12 Febbraio 2021

Habemus il governo di Mario Draghi. Tutti i sospiri e le attese sono svaniti in serata quando l’ex presidente della Bce ha sciolto la riserva nelle mani di Sergio Mattarella leggendo la lista dei ministri e diventando ufficialmente presidente del Consiglio. Certo, vedere Luigi Di Maio ancora ministro degli Esteri e Elena Bonetti ancora ministro della Famiglia fa cadere le braccia. Ma è bello vedere Marta Cartabia prendere il posto di Alfonso Bonafede nel ruolo di ministro Guardasigilli. Il mix di tecnici e politici somiglia non poco al tentativo di mescolare acqua e olio, ma non è questo il punto.

La costituzione del governo Draghi appare evidentemente legata a sue caratteristiche: è un governo a tempo e di scopo. Sono pronto a scommettere che la sera di San Valentino del 2022 l’attuale presidente del Consiglio cenerà con la sua amatissima consorte (nel 2023 celebreranno i cinquant’anni di matrimonio) in un palazzo romano diverso da Palazzo Chigi. Draghi è premier per fare due cose: prendere con autorevolezza tutti i quattrini possibili in Europa per far ripartire l’Italia; tornare a legittimare le forze politiche dopo le prove disastrose dei contorcimenti incoerenti tra Conte 1 e Conte 2. Quelle stesse forze politiche che il 31 gennaio 2022 eleggeranno Mario Draghi alla presidenza della Repubblica come successore di Sergio Mattarella.

Il governo Draghi sarà il terzo e il più breve esecutivo di questa disgraziata legislatura, così profondamente segnata dalla tragedia Covid e dall’inadeguatezza della classe politica eletta il 4 marzo 2018. Farà però delle cose determinanti: l’allocazione dei 209 miliardi di euro del Recovery Fund. La gestione vera e propria di quei soldi però sarà compito del governo che emergerà dalle elezioni politiche che si terranno nella primavera dell’anno prossimo, con qualche mese d’anticipo sulla scadenza naturale della legislatura. Gli equilibri politici si modificheranno in maniera sostanziale: il M5S conoscerà un inevitabile tracollo rispetto al 2018 e bisognerà anche vedere se pagherà la scommessa di Giorgia Meloni di essere l’unica forza politica di opposizione a Draghi (io non ne sono convinto).

Poiché il core business di questo governo è l’allocazione dei denari del Recovery Fund ci permettiamo di offrire il suggerimento che come Popolo della Famiglia sentiamo più urgente: occorre investire nel capitale umano straordinario del nostro Paese, ascoltando il grido dei penultimi. Il giacimento più ricco di energie per il capitale umano del nostro Paese è la famiglia. Allora vorremmo ascoltare Draghi davanti alle Camere declinare questi impegni programmatici a noi cari: reddito di maternità e riconoscimento della piena condizione lavorativa della donna che si dedica all’attività di cura e crescita dei figli in via esclusiva (stanziamento: 3 miliardi annui); riforma fiscale del quoziente familiare (10 miliardi); sostegno alla costituzione e all’ampliamento di imprese familiari, con particolare attenzione all’autoimpiego per i giovani under 35 (6 miliardi); azzeramento degli interessi per i mutui prima casa, con prestito garantito dallo Stato per l’acquisto ai giovani che si sposano prima dei 35 anni (1 miliardo). Si tratta di un pacchetto di 20 miliardi di euro da unire ovviamente alle priorità di investimento in questi comparti: sanità e assistenza (in particolare a anziani e disabili); istruzione e ricerca scientifica; certamente l’ambiente (o transizione ecologica, per seguire il nuovo lessico) ma senza dimenticare la prospettiva antropologica.

Se il governo Draghi imposterà questo tipo di lavoro, farà bene. Se gestirà i capitoli di spesa senza assegnazioni specifiche nelle direzioni da noi indicate, ci presenteremo come Popolo della Famiglia alle elezioni politiche per chiedere un mandato ai cittadini per poter implementare il programma indicato con le chiare priorità che abbiamo enunciato.
Per l’intanto, buon lavoro presidente Draghi.