Mario Adinolfi “Il Grido dei Penultimi”

È uscito Il grido dei penultimi, il libro che completa la trilogia aperta nel 2014 con Voglio la mamma e proseguita nel 2017 con O capiamo o moriamo. Sarà probabilmente uno dei libri più discussi dell’estate, in quarta di copertina subito una zampata contro Myrta Merlino inginocchiata a La7 per George Floyd. D’altronde Mario Adinolfi è così, un polemista che non riesce a trattenere la frizione e dove passa non può che creare scompiglio. Il suo “Il grido dei penultimi” è un lavoro di duecento pagine concepito in tempo di Covid che però parte da lontano e Mario Adinolfi racconta:

“Come per ogni mia creatura, oggi che la presento provo un pizzico di emozione e anche di timore perché so quel che scrivere un libro comporta: come per VLM e per OCOM, anche Il grido dovrà essere accompagnato in giro, dovrà crescere e camminare sulle sue gambe, aiutato da voi. Chi ha amato i suoi due fratelli maggiori non potrà che affezionarsi all’ultimo nato. Se VLM era l’urlo del bambino, se OCOM era il ragionamento dell’adulto, Il grido dei penultimi è certamente la conclusione del viaggio con alcune evidenze raccolte e una ricetta per lenire le ferite inevitabili del percorso.

Lavoravo a questo libro da tempo, doveva essere presentato a marzo in Piemonte, poi è accaduto quel che è accaduto ed ha cambiato tutto, anche il mio libro. In tre mesi di clausura Covid il testo ha attraversato profondi cambiamenti finché un giorno, nel corso della diretta social con il cardinale di Sant’Egidio e arcivescovo di Bologna, ho chiesto a Matteo Zuppi di ascoltare “il grido dei penultimi”. Zuppi a Roma mi ha insegnato a orientare lo sguardo sugli ultimi, è il più intelligente dei preti di strada che mi sia capitato di conoscere e più volte ho detto che, semmai fosse italiano, il prossimo Papa sarebbe perfettamente incarnato da don Matteo. Che mi conosce bene e sa che dagli ultimi non ho mai distolto lo sguardo, anzi, credo di avere nel mio piccolo contribuito a definirne con precisione i contorni anche proprio grazie alla guida che ho riconosciuto sempre nella Chiesa, che è serva dei servi.

Ora però il Covid è come se avesse fatto esplodere un urlo latente e inascoltato. Certo c’è la tragedia dell’immigrato che deve attraversare il mare rischiando di affogare, del rom che vive in situazioni disperanti, della donna che subisce violenza domestica, del gay picchiato per strada, del bracciante sfruttato a due euro l’ora, del nero ucciso dal poliziotto bianco negli Stati Uniti. Ci sono tragedie, come dire, codificate e politicamente legittimate che portano a stendere reti protettive. Se sei nelle suddette categorie, troverai ascolto, porte spesso aperte, ministri che fanno leggi apposta per te, magari lacrimando, discorsi intensi al festival di Sanremo e telefoni rosa o arcobaleno per proteggerti. C’è un rischio, poi: quello del conformismo. L’analisi sul conforto agli ultimi allora non è più finalizzata al loro riscatto, ma al proprio. Quello che Gaber definiva in una canzone “il potere dei più buoni”, per stigmatizzarlo infine tacciandolo come pura moda. E mentre gli ultimi ben codificati vanno di moda, mentre evangelicamente diventano i primi, ai penultimi che sorte tocca?

Ho scandagliato il mondo dei penultimi e l’ho raccontato in questo mio ultimo libro dedicato ai temi etici. Siamo in mano d’altronde, e lo scrive, agli epigoni di un nuovo Stato etico privo di morale che non può che provocare in me un sempre più deciso moto di organizzata resistenza, di questo mi occuperò ora che tutto quel che avevo da dire l’ho detto e l’ho scritto.

Il libro è denso ed è un libro di storie. Non rinuncio ai miei amatissimi dati, alcuni totalmente inediti in particolare in materia di suicidio assistito e di eutanasia (la soluzione degli agenti dello Stato etico senza morale al dolore dei penultimi). Ma soprattutto Il grido dei penultimi è un libro in cui troverete moltissime storie, con alcune parole non pronunciate da me ma da me solo raccolte che non potranno non stravolgere il modo con cui guardate a certi fatti. A un certo punto alla fine del lockdown su un giornale ho letto qualche riga in un articolo di taglio basso che raccontava di quattro suicidi in appena dieci giorni registrati nella sola provincia di Teramo: una donna di 33 anni, un padre di famiglia di 55, un signore di 63, per ultimo un ragazzo di 27 anni che si è impiccato poche ore dopo aver ricevuto la comunicazione che il suo contratto a termine da cameriere in un hotel non gli sarebbe stato rinnovato per la crisi Covid. Accendo la televisione e vedo una conduttrice molto nota inginocchiata e commossa. Per un attimo ho sperato che fosse per quel giovane sfortunato, ho creduto in un sussulto di consapevolezza. No, era una sceneggiata per un nero ucciso da un poliziotto bianco in America. Campeggiava una scritta nello studio televisivo: “Black lives matter”. Le vite dei neri contano. Non sarebbe stato più chiaro un “la vita conta”? In Italia nessun nero è mai stato ucciso da un poliziotto bianco, ma la moda di quei giorni era piangere in tv per qualcosa che non ci riguarda: come cantava Gaber, quando è moda è moda. Per quella donna, quel papà, quel signore e quel ragazzo morto impiccato neanche un gemito, neanche un ricordo, nessuna lacrima. Non un minimo di considerazione per il grido dei penultimi che stanno dicendo: non ce la facciamo più.

Con il mio libro spero di aver raccontato tutta la loro fatica, l’oceano di dolore che porta dodici milioni di italiani a sopravvivere grazie agli psicofarmaci, perché la crisi economica si è fatta prima crisi valoriale e poi esistenziale. Ho mescolato Jonathan Demme con Paolo Conte, Jim Morrison con Platone, Pier Paolo Pasolini e Patti Pravo con tante storie raccolte per strada e anche qualcuna di molto personale, per provare a dire che una volta messi in ascolto di quel grido, una via d’uscita si può trovare. Tutti insieme.

Dedicherò il mio viaggio per presentare questo libro alla fatica dimenticata delle famiglie, dei piccoli commercianti, degli artigiani, dei disabili, degli addolorati, di chi ha un bar o un ristorante o una struttura ricettiva che vivevano di turismo in questa stagione senza turisti, dei ragazzi con contratto a tempo determinato non rinnovato, dei malati, degli anziani, di tutti coloro ai quali la vita sembra colorarsi di un tramonto senza speranza. Lo dedicherò anche alla mia fatica, alla fatica dei miei, che mi hanno insegnato a restare in ascolto e investire in idee, progetti, piani di cambiamento ragionevole e possibile anche quando il male sembra essere soverchiante. Troverete molte storie “di famiglia” nel libro e anche qualche storia della mia famiglia. Leggetele, osservatele, con delicatezza. Noterete che ho lasciato alla fine di tutti i capitoli uno spazio per per vostre note: mi piacerebbe che ogni copia diventasse una copia scritta anche da voi, con le vostre storie, le vostre fatiche, le vostre sofferenze. Il vostro grido di penultimi, penultimi come me. Poi, se vi va, mi farete leggere quelle note e sarà bello sintonizzarsi sul grido di ciascuno per credere comunitariamente (e sì, cristianamente) in una salvezza possibile.

Grazie a ognuno di voi per il viaggio straordinario che mi avete consentito di fare, da Voglio la mamma fino a qui.”