GUARDANDO THE AFFAIR di Mario Adinolfi

Quando sono nato io, nel 1971, in Italia vivevano da soli poco più di due milioni di persone. Quarant’anni dopo, nel 2011, erano più di sette milioni. Oggi sono otto milioni e mezzo: il 40% sono vedovi, il resto sono divorziati o non sposati. Se devasti la famiglia il prodotto inevitabile è un oceano di solitudine.
Indicare nella famiglia naturale un nemico da abbattere, perché considerato simbolo ideologico di un presunto pensiero retrogrado e patriarcale, ha certamente generato questo cambiamento: i giovani non si sposano, il tasso di fertilità è ormai 1.2 figli per donna (anche i figli, sono figli soli), ci si lascia per un nonnulla e ci si consegna così a una profonda infelicità.

Negli ultimi cinque anni è andata in onda negli Stati Uniti una bellissima serie televisiva intitolata The Affair. Proprio qualche giorno fa è stata trasmessa l’ultima puntata. L’espressione “affair” in inglese si può tradurre con “relazione extraconiugale”. La vicenda prende spunto proprio da un uomo sposato con quattro figli che fracassa tutto quando incappa in una relazione extraconiugale. La serie non ha un approccio moralista, è quasi hard in molti momenti, spiega con chiarezza come la stanchezza possa affiorare in un rapporto matrimoniale e come sia comprensibile il rifugiarsi tra le braccia di chi riesce a farti sentire di nuovo “vivo”. Poi però affronta con durezza anche tutte le conseguenze di quelle scelte, alcune delle quali sfociano in tragedia. Il finale vede la riunificazione della famiglia originaria dopo infinite vicissitudini, con l’uomo che ha dato origine a tutto il caos con il suo tradimento che recupera serenità da anziano leggendo un libro davanti alla tomba della moglie morta nel 2051, dopo aver convinto la figlia della sua amante a tornare dai suoi figli ricongiungendo una famiglia che anche in quel caso stava per sfasciarsi. Il finale ha commosso gli americani e anche i pochi italiani che hanno seguito The Affair. Non c’era nulla di melenso, ma l’evidente sensazione che solo nella dimensione degli affetti primari e dunque familiari potesse essere riconsegnato un equilibrio a chi era preda altrimenti di un caos distruttivo.

Ecco, mentre guardavo The Affair in questi anni mi chiedevo se “un cambiamento del cambiamento” non fosse ormai alle porte. Avendo sperimentato io sulla mia pelle tutto quello che la serie televisiva raccontava ed avendone accertato l’estremo realismo nella descrizione psicologica del concatenarsi delle varie decisioni caotiche, mi sono davvero interrogato se dagli Stati Uniti non stia arrivando finalmente un vento opposto rispetto a quello libertario che da mezzo secolo ha devastato le nostre vite. Forse proprio dalla cultura pop arriverà la considerazione che Andy Wahrol alla fine è morto solo e senza amici e la Pop Art che esalta icone fasulle e solitudine non è che una resa senza senso. Forse è il tempo di un’arte popolare più calda che possa scalciare dopo aver certificato che il prodotto del cambiamento post-sessantottino è solo un aggravarsi del peso di vivere che ha generato infelicità profonda e ci ha fatto diventare tutti forse più briosi da giovani, ma di certo più pateticamente soli dall’affacciarsi della mezza età in poi. E allora davvero è tempo di cambiare cambiamento.

Fate figli, fate più di un figlio, cominciate da giovani. Restate con vostra moglie e se qualche sbandata rischia di far deragliare il matrimonio, tenete duro (consiglio da divorziato, risposato però, che nel matrimonio ci crede tanto). Quando sentirete crescere la noia che deriva dall’abitudine, sappiatene apprezzare la dimensione riposante. Tenete vicini i vostri figli, poi, proponendovi come nonni in supporto per far sì che la fragilità infeconda delle relazioni tra i più giovani sia innervata dalla determinazione di voi più anziani e quindi più saggi. Rivolgete sempre uno sguardo d’amore supplementare al vostro familiare con problemi di salute, accudendolo, affinché quando sarete voi al suo posto possiate sperare d’essere ricambiati per l’esempio che avete offerto.

Costruite un reticolato solido attorno alla parola “famiglia”. La solitudine, in una società che invecchia senza fare figli, rischia di essere il peggiore cancro del nostro tempo in cui non a caso vanno innestandosi le culture mortifere dei fan del suicidio assistito e dell’eutanasia. Perché vivere è sempre collegato ad un per chi vivere. Da soli si rischia di diventare facili prede per questi mercanti della morte. Noi invece vogliamo produrre un cambiamento che sia sorriso alla vita e che si possa tornare a veder calare il numero di persone che vivono da sole: nel 2051, come l’anno finale di The Affair, avrò ottant’anni e spero di vivere con Silvia attorniato dai nipoti che le mie tre figlie sapranno darmi e che ci sia sto benedetto maschio, magari che si chiama Mario come me come io mi chiamo come mio nonno, da portare allo stadio a vedere la Juve.