SENZA DIGNITA’ di Mario Adinolfi
Marco Cappato indossa i galloni del vincitore e lo è senza dubbio. Non c’è quotidiano che non gli dedichi almeno un articolo agiografico, dai toni epici. Repubblica chiude il suo citando la figlia “che si chiama Vittoria”. Certo, è una vittoria netta. Ed è la sconfitta forse irreversibile di quell’ormai inconsistente schieramento prolife, che ha svolto per un anno una opposizione impalpabile salvo poche lodevoli eccezioni. Di sicuro non si contano tra questi i partiti o leader politici, tutti ben nascosti dietro la fontanella dell’acqua di Ponzio Pilato. Tanto, quid est veritas…
Marco Cappato porta con sé però anche una pesantissima responsabilità, è tutta sua, è personale. Gli riconosco di aver “mosso la storia”, di aver dimostrato che anche un singolo che raccoglie pochissimi voti (da candidato presidente in Regione Lombardia per ben due volte non riuscì neanche a raccogliere le firme, alle politiche 2013 la lista pannelliana con cui era candidato prese lo 0,19%) può produrre un cambiamento radicale. Ha messo un gioco il suo corpo, ha agito contro una norma esplicita finendo in un processo la cui pena poteva arrivare a dodici anni di carcere, ha ottenuto ora dalla Corte Costituzionale una modifica epocale dell’intera struttura dell’ordinamento giuridico italiano, che prima considerava “bene non disponibile” la vita umana e ora invece ritiene costituzionalmente legittimo aiutare a sopprimerla. Di più, la Consulta ha connesso la sentenza Cappato alla legge 219/2017, invitando di fatto il Parlamento a proseguire su questo canovaccio nella direzione della legalizzazione dell’eutanasia. Questo è il sommovimento tellurico ottenuto dall’azione fisica e politica di Cappato legata alla morte di Dj Fabo.
Dal punto di vista culturale l’unico contesto in cui si è potuto ascoltare qualche parola netta contro suicidio assistito e eutanasia è stato l’ambito della Chiesa cattolica. Da Papa Francesco al cardinale Bassetti con evidenza e chiarezza si è detto che l’orizzonte indicato da Cappato è pericoloso. Non un solo editorialista “laico”, non un solo giornale di peso si è schierato contro Cappato, il coro a suo sostegno è stato unanime e senza eccezioni. Avrò letto cento volte che Cappato ha aiutato Dj Fabo a morire “con dignità”, che la vita di Dj Fabo non era più “una vita degna di essere vissuta”, evviva chi ha aiutato a porvi termine. Oggi tra gli infiniti articoli apologetici dei vari quotidiani ho trovato solo in un’intervista del cardinale Becciu l’atto di accusa che ogni persona di buonsenso dovrebbe rivolgere a Cappato: ha prodotto una svolta culturale che farà pensare a ogni sofferente che il suicidio è una scelta di dignità. Aggiungo io: questo è davvero imperdonabile. Questo è un insulto gravissimo a millenni di cultura giuridica, storica, religiosa, medica e popolare del nostro paese, in cui la dignità è nel sostegno del sano nei confronti del sofferente, mai nella costruzione di un contesto sociale in cui il sofferente si senta peso insostenibile.
In Italia c’è una associazione che sostiene 892 bambini sordi, ciechi e muti, inevitabilmente condannati a morire presto. Hanno una vita non degna di essere vissuta? In Italia 3.600 malati di Sla sono destinati a una condizione simile a quella vissuta da Dj Fabo, che facciamo, li sterminiamo con tanta dignità? In Italia decine di migliaia di persone sono tetraplegiche gravi, seicentomila sono affetti da Alzheimer e altre forme di demenza senile in stato avanzato, due milioni in stato iniziale e intermedio. Un malato di Alzheimer non ti riconosce, deve essere sostenuto in tutto, in ogni aspetto della sua vita, compresi i bisogni, come fosse un bambino di un anno. Secondo Cappato è una vita degna o meglio far loro scrivere un bel testamento biologico così li possiamo far passare tutti dal camino di una iniezione di pentobarbital?
Marco Cappato ha vinto, certo. Ma ha vinto rovinando questo Paese e consegnandolo a una dimensione infernale. Ha vinto senza dignità, facendo leva sul dolore di un sofferente. Non glielo dice nessuno oggi, l’Italia tende sempre a salire sul carro dei vincitori, ma voglio dirglielo io: Marco, la tua battaglia è orrenda, spaccia per libertà quel che sarà solo l’ennesimo condizionamento, il più infame perché farà sentire ancora più angosciati i sofferenti già angosciati dal loro male, li farà sentire un peso e liberi e dignitosi solo se si toglieranno di mezzo. Lo faranno in tanti, vivere nel dolore è faticoso, ma spiega tanto. Per millenni abbiamo visto i nostri genitori spirarci tra le braccia, spesso dopo lunghe malattie e la nostra cura nel tempo estremo era il modo per ripagare loro della cura nel tempo iniziale della nostra vita, quando eravamo noi a dipendere in tutto e per tutto da loro. In questo “circle of life”, che ora il pentobarbital cappatiano spezza, c’era molto del senso stesso dell’esistenza.
Ora per via di una sentenza assurda, pronunciata in nome della “dignità”, si apre una triste stagione i cui esiti sono pericolosamente immaginabili. Perché in un tempo in cui l’aspettativa di vita cresce e con essa crescono i costi della sanità, dando al sistema la possibilità di scegliere se curare l’incurabile con spese ingenti o sopprimerlo a spese zero, non credo sia difficile capire verso quale orizzonte si orienterà la libera scelta. Solo allora avremo chiaro quale orrore sia stato reso possibile da tutta questa supposta nuova libertà.