CINQUE EVIDENZE EMERSE DALLA CRISI di Mario Adinolfi

29La crisi di governo volge al termine e se ne possono trarre cinque evidenze, difficilmente contestabili:

1. L’ANOMALIA ITALIANA – In nessun Paese al mondo potrebbe accadere quel che è accaduto da noi. Sarebbe come se in Germania la Merkel rompesse con la Spd e si mettesse a governare con Alternative für Deutschland dopo venti giorni o se in Francia un governo si facesse votare la fiducia a leggi duramente antiimmigrati perché ha in maggioranza la Le Pen e dopo tre settimane lo stesso premier si ritrovasse a discutere della cancellazione di quelle leggi perché ha rotto con il Front National e si è messo in maggioranza con Psf e La France Insoumise di Melenchon. Non è che all’estero non accade, all’estero è semplicemente impensabile.

La politica ha ancora la parvenza di una cosa seria lì, da noi è una cialtronata i cui attori sono cialtroni la cui parola vale zero. Una volta si diceva “anomalia italiana” e si intendeva la Dc al governo da mezzo secolo ininterrottamente. Oggi l’espressione contiene solo elementi dispregiativi.

2. LA GUERRA TRA BANDE – Tutti hanno ammantato le loro mosse motivandole con “l’interesse del Paese” e hanno sui social gruppi di tifosi disposti a credere e rilanciare questa favola. Sempre meno però. Ormai ai più è chiaro che questa è, purtroppo, solo una guerra tra bande in cui ognuno si è fatto i propri interessi, fregandosene totalmente di quelli del Paese. Salvini ha giurato sul contratto e sui cinque anni di durata, poi ha aperto una crisi al buio solo per capitalizzare quanto gli attribuivano i sondaggi per provare ad ottenere gli agognati “pieni poteri” per se stesso; poi quando ha visto le brutte si è fatto goffo, ha balbettato di ritorno al centrodestra, poi ha ritirato la mozione di sfiducia, tentato addirittura di assicurare la premiership a Di Maio pur di restare in sella, insomma un disastro. Renzi che aveva detto fino a ieri “mai con M5S” ha fatto una delle sue solite inversioni a U (“non faccio come D’Alema, non andrò a Palazzo Chigi senza passare dal voto degli italiani”, “Enrico stai sereno”, “Se perdo il referendum lascio la politica”, “Chi ha perso le elezioni non può andare al governo” e ci metto pure il Family Day 2007 fatto accanto a me e quelli successivi in cui ho dovuto far scrivere lo striscione “Renzi ci ricorderemo”) solo perché se si andava alle elezioni Zingaretti gli avrebbe reso pari moneta rispetto alla notte delle liste elettorali 2018 in cui aveva fatto fuori tutti gli oppositori per piazzare solo i suoi. Sul M5S poi ci sarebbe solo da stendere un pietoso silenzio: sono passati dal “mai alleati di nessuno”, da “uno vale uno” a uno vale l’altro pur di salvare la poltrona visto che di 323 parlamentari eletti sarebbero stati rieletti meno della metà e 85 (tutto il gruppo dirigente tra cui Di Maio e Fico) non potevano neanche ricandidarsi per via della regola del doppio mandato. Le vere ragioni per cui non si va al voto, eccole qua, tra ambizioni shakespeariane da Papeete Beach a piccoli calcoli di piccoli uomini. La storia alla fine può essere raccontata solo così perché solo questa è la verità.

3. LA DISILLUSIONE GENERALE – Con la nascita del governo giallorosso in nove anni le abbiamo viste proprio tutte. Nel 2010 erano al governo Berlusconi, Fini e Bossi; nel 2011 i tecnici; nel 2013 solidarietà nazionale centrodestra-centrosinistra; nel 2014 Pd-nuovocentrodestra; nel 2018 Salvini e Di Maio; nel 2019 Di Maio col Pd e Boldrini-Fratoianni decisivi per la maggioranza al Senato. Insomma con questa nuova formula avremo provato in meno di un decennio proprio tutte le salse con una sola certezza: nessuna ha prodotto un aumento del benessere degli italiani, la rabbia sociale è aumentata, la disillusione è generale, il Paese è drammaticamente colato a picco ed è la Cenerentola d’Europa. Dal 2010 il debito pubblico è aumentato di 500 miliardi di euro perché ogni schieramento ha provato a comprarsi i voti spendendo soldi che l’Italia non ha (e infatti il rapporto debito-Pil è passato dal 115% al 133%), con mirabolanti prebende tipo abolire l’Ici, varare gli ottanta euro, regalare il reddito di cittadinanza, permettere il pensionamento a 62 anni (quota 100). Niente di tutto questo ha prodotto crescita o espansione dei consumi, perché con questa deludente politica gli italiani hanno paura.

4. ALL’OPPOSIZIONE – Evidenza chiara a tutti noi del Popolo della Famiglia: come siamo stati all’opposizione dell’inciucio gialloverde (vile e silenzioso sui temi che ci stanno a cuore, dalla lotta alla denatalità ai principi prolife), a maggior ragione saremo all’opposizione dell’inciucio giallorosso.

5. UN’ALTERNATIVA È POSSIBILE – Davanti al collasso etico rappresentato plasticamente da questa crisi di governo, in mezzo a macerie morali e tanti segnali negativi, forse un margine di speranza c’è: oggi dall’opposizione a questa vergogna può alzarsi un grido nuovo, di ritorno a valori radicali e condivisi, cristianamente ispirati e profondamente inseriti nel tessuto del Paese. C’è un’Italia migliore, davvero assai migliore di questa politica. C’è un’Italia che crede che può essere chiamata ora a raccolta davanti al disastro incipiente, può essere organizzata per battaglie future che non sono poi così lontane.

La festa della Croce dal 27 al 29 settembre sarà per noi una prima occasione di riflessione in questa direzione. Il 2 settembre a Roma ci riuniremo come coordinamento Lazio aperto a rappresentanti delle altre regioni per compiere una prima analisi sull’esito della crisi di governo. Chiunque si senta non rassegnato ad una politica totalmente autoreferenziale lontana dai veri interessi popolari, si unisca a noi del Popolo della Famiglia. Sarà quantomeno un luogo dove la riflessione è libera e aperta. E dove c’è bisogno del contributo di tutti. Perché un’altra Italia è possibile.