IL FOLLE MECCANISMO di Mario Adinolfi

Giorgia Meloni s’era lanciata subito: “L’Italia non può essere il punto d’approdo di questi animali, bestie, spero che marciscano in galera”. A uccidere il povero carabiniere Mario è stato un turista americano di 19 anni con i capelli tinti di biondo, toccheranno a lui “i lavori forzati e la galera finché campa” promessa da Salvini. O forse no. Forse il folle meccanismo ha colpito ancora. L’ansia di spararla più grossa possibile in ogni fatto di cronaca, allontanando da sé ogni prudenza da classe dirigente, ma scegliendo il linguaggio della teppa istituzionalizzandolo, ha prodotto un effetto comico in un ambito che doveva essere solo tragico. Quegli altri ovviamente non vedevano l’ora di potersi sfogare per un delitto di droga finalmente non commesso da un magrebino, da un nigeriano, da un algerino e dunque ora daje con l’altra forma di propaganda ideologica, uguale e contraria, ugualmente comica e inadatta alla compostezza che dovrebbe avvolgere questa tragedia.

L’americanino che ha ucciso un nostro carabiniere non andrà ai lavori forzati, che peraltro in Italia non esistono, prenderà 16 anni per omicidio preterintenzionale, gli saranno ridotti in appello e alla prima occasione utile lascerà il nostro Paese per le pressioni che arriveranno dall’ambasciata di via Veneto. Mario non tornerà mai più dalla moglie appena sposata e oggi vinta dal dolore. Ma l’Italia si spaccherà in due fazioni: “tiè Salvini, è americano e adesso cosa dici?”; “sì ma il pusher è magrebino, ci sono sempre di mezzo loro, via questa feccia dall’Italia”. Bisognerebbe invece discutere della sicurezza con cui operano le nostre forze dell’ordine, di quanto poco paghiamo questi ragazzi che rischiano la vita, del fiume di droga che avvelena Roma e tutte le città senza che nessuno operi davvero un’azione di contrasto. Qui addirittura il pusher si sarebbe rivolto ai carabinieri per riavere il borsello e soprattutto il cellulare con il numero di tutti i suoi clienti: siamo al paradosso grottesco.

Il folle meccanismo però non ti fa mai discutere del problema in sé, non ti permette neanche di trasformare una tragedia in una porzione di bene, di onorare come si deve le vittime cercando strade che ne impediscano altre. Il folle meccanismo trasforma immediatamente tutto in linguaggio da stadio e puoi solo scegliere a quale curva appartenere: piddini-antipiddini, salviniani-antisalviniani, come una volta era berlusconiani-antiberlusconiani. Sul folle meccanismo avevo messo in guardia anche rispetto ai fatti di Bibbiano: se li trasformiamo in guerriglia ideologica contro il Pd, perdiamo l’occasione di dire tutti insieme che i bambini non si toccano e che quei pazzi della Hansel e Gretel che da un quarto di secolo creano ovunque scie di immenso dolore per i più piccoli e per le loro famiglie con le loro perizie che falsificano i fatti, devono smettere per sempre di operare in questo ambito.

L’ideologia, l’immediato scontro partitico, il linguaggio semplificato e abnorme da curva da stadio, fanno scattare il folle meccanismo: a quel punto devi solo appartenere. Stai con questo o con quello? E nello scontro parossistico tra questo e quello annega la possibilità di fare qualcosa di concreto. Lo abbiamo sperimentato anche sulla famiglia. Più i toni si sono alzati, più lo scontro è diventato contrapposizione violenta, più le promesse sono state roboanti, meno si è ottenuto nel concreto: manco uno straccio di proposta di legge a sostegno della natalità o per la famiglia, essì che si litigavano il decreto a tre giorni dalle elezioni. Ma il folle meccanismo è buono appunto per le elezioni, per attrarre consenso, non per fare concretamente le cose. Così l’unica proposta di legge arrivata davvero a Montecitorio per cambiare nei fatti la vita della famiglia italiana è stata quella del PdF sul reddito di maternità. Perché noi al folle meccanismo siamo immuni, noi rifiutiamo di metterci a fare casino in curva, noi siamo quelli che vogliono fare concretamente le cose senza urlare “dagli al magrebino” o “Salvini tiè, è americano”. Noi vogliamo azioni di contrasto vere contro le colonie del male dello spaccio di droga nelle città, lo diciamo da anni che l’esercito dovrebbe presidiare le aree a rischio. Non lasciare solo un povero carabiniere ad andare a morire ammazzato da un americano per recuperare la rubrica di un pusher.

O liberiamo l’Italia dalla morsa soffocante del folle meccanismo, torniamo come classe politica prima fra tutte a avere coscienza del ruolo anche pedagogico da svolgere, oppure alla radice concreta dei mali che ci affliggono sapremo opporre solo chiacchiere urlate. Che non risolveranno nulla, ci incattiviranno tutti, ci renderanno alla fine più deboli come italiani. Come popolo dobbiamo tornare a innamorarci della complessità da opporre alla semplificazione curvaiola, a cui noi come pidieffini (non senza pagare un prezzo salato) non ci siamo mai piegati. Noi non siamo tifosi che fanno i cori per quello o contro quell’altro. Noi teniamo il cervello acceso e ci becchiamo magari le bastonate dei tifosi di quello e anche di quell’altro. Ma è la nostra ragionevole e concreta forma di lotta, di resistenza al folle meccanismo.